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Massimino II Daia e il Genio del Popolo Romano
rev. 30.8.2005
17.3.2003
Caro Giulio, 
ho sedici anni, ti invio le immagini relative a una delle monete romane che ho iniziato a collezionare anche se mi intendo molto poco di numismatica antica. 
Sul dritto (o almeno presumo sia tale) compare l'immagine di profilo di un imperatore che secondo l'iscrizione esterna sembrerebbe un certo "MAXIMINUS", sul retro orientato a 180° rispetto al dritto appare una figura che ai miei occhi sembra un'allegoria di vittoria o giustizia che è vestita di tunica e regge in mano due oggetti non molto ben identificabili a causa del deteriorameno. Intorno a questa figura sembrano esserci delle scritte che così figurano ai miei occhi "POP ROM" (quasi fosse abbreviazione di popolo romano)
Sotto la figura sembra esserci la scritta "PTR" ed alla sua sinistra una sorta di " T " .
La moneta sembrerebbe essere in bronzo.
La mia principale questione è :" E' autentica? "e se sì, a che periodo risale?
Ho identificato correttamente l'imperatore?
Ho molto a cuore la questione sull'autenticità in quanto vorrei assodare se il "tombarolo" da cui le compro è realmente affidabile come sembra essere.
Se sei in grado mi interesserebbe inoltre una stima, anche se non ho alcun interesse a rivenderla, (sarebbe come togliermi un pezzo di me!).
Ti ringrazio in anticipo e ti prego di scrivermi al più presto.

Ho inoltre altre monete bronzee di cui mi piacerebbe sapere di più quindi fammi sapere se hai voglia di aiutarmi ad identificarle.
Grazie

fig. 1
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Roma, 12.5.2003
Caro amico,
mi scuso innanzi tutto per il ritardo nella risposta, dovuto in parte a questioni tecniche e in parte alla necessità di reperire materiale bibliografico idoneo a coprire il periodo storico a cui la tua moneta si riferisce e, ovviamente, a studiarlo. Di Massimino Daia mi ero già occupato in una precedente corrispondenza, quando un lettore mi aveva chiesto consulenza su un follis coniato nel periodo in cui questo sovrano svolgeva le funzioni di Cesare. Nell'occasione avevo tratto dal Montenegro una breve nota biografica a cui ti rimando. Vorrei invece ora trarre spunto da questa tua moneta per allargare un po' il discorso al periodo della "Tetrarchia" in cui Massimino Daia operò.

Inquadramento storico.
Il "fondatore" della tetrarchia era stato Diocleziano. Egli era stato acclamato imperatore il 17 novembre del 284 d.C. dalle truppe di stanza a Nicomedia, dopo l'assassinio dell'imperatore Caro, seguito, ad appena un mese di distanza da quello del figlio Numeriano, su istigazione del prefetto del pretorio Apro. Nell'occasione Diocleziano aveva prima smascherato il mandante dei due delitti e poi lo aveva ucciso con le proprie mani. Inevitabile lo scontro con Carino, figlio di Caro, imperatore legittimo per successione e nomina paterna . Nella battaglia, avvenuta nella Mesia (area danubiana), Carino rimase ucciso per mano di un ufficiale della propria guardia personale e Diocleziano, rimase unico sovrano dell'impero.
Memore delle esperienze trascorse, egli si propose di dare un nuovo assetto allo stato romano che garantisse maggiore sicurezza e tempestività di intervento nella difesa dei traballanti confini, desse maggiore stabilità all'economia, evitasse le lotte di  successione. Perciò pensò bene di dividere il potere con un generale fidato, Marco Valerio Massimiano, che fece Cesare nel 285 e Augusto nel 286, conferendogli il governo dell'Occidente e riservando invece a sé il controllo della parte più ricca e progredita del mondo romano, l'Oriente. La neonata diarchia (governo di due) fu innanzi tutto funzionale a contrastare la minaccia delle invasioni dal nord e dalle regioni orientali. La capitale dell'Occidente fu spostata a Milano, città più prossima alle zone di frontiera e quella d'Oriente a Nicomedia (l'odierna Izmit, sul Mar di Marmara, nella Turchia asiatica). Ogni diarca possedeva un proprio esercito, riorganizzato come forza di intervento rapido in grado di spostarsi velocemente in tutte le zone di crisi, se necessario anche in quelle di non diretta pertinenza.
Allo scopo di fornire una base ideologica a questa nuova struttura dello stato, Diocleziano stabilì una gerarchia di comando che traeva spunto dalla gerarchia celeste: Massimiano diventava pari grado di Diocleziano e suo "frater" (fratello e quindi membro della gens Valeriana cui Diocleziano apparteneva - RIC VI pag. 9) ma la sua anzianità era inferiore a quella di Diocleziano perché, mentre Diocleziano assumeva il titolo di "Iovius", cioè figlio di Giove, Massimiano quello di "Herculius", figlio di Ercole, quindi più lontano da Giove per discendenza.
Nel 293, sotto la pressione degli eventi militari alle frontiere, Diocleziano decise di estendere ulteriormente il progetto di decentramento dell'impero, affiancando, ai due Augusti, due Cesari, con l'incarico di presidiare rispettivamente i confini settentrionali (Britannia e Gallia) e quelli danubiani. L'impero risultò così diviso in quattro parti (in grassetto i nomi con cui i tetrarchi vengono di solito richiamati nei manuali storici):

  • Caio Aurelio Valerio Diocleziano, Augusto senior, ebbe il governo diretto della Tracia, Asia ed Egitto;
    • Caio Galerio Valerio Massimiano fu nominato Cesare dei Balcani, Tracia esclusa e quindi subordinato a Diocleziano;
  • Marco Aurelio Valerio Massimiano, in qualità di Augusto junior, ebbe il governo dell'Italia, Spagna e Africa;
    • Flavio Valerio Costanzo (noto anche come Costanzo Cloro), fu nominato Cesare della Gallia e della Britannia e quindi subordinato a Massimiano.
Allo scopo di garantire una linea naturale di successione, Diocleziano decise che ogni Augusto, dopo 20 anni di governo, avrebbe ceduto il potere al  proprio Cesare, il quale, divenuto Augusto, avrebbe a sua volta nominato un Cesare di fiducia.
Questa dunque sinteticamente era, negli intenti di colui che l'aveva concepita, la tetrarchia (governo di quattro), un'organizzazione fortemente decentrata dello stato, ma non priva di unitá di comando, in cui l'Augusto senior dettava il disegno politico e gli altri, Augusto junior e Cesari, provvedevano all'esecuzione, in autonomia di gestione.
Con il passaggio dalla diarchia alla tetrarchia, l'ideologia del sistema si adeguò: come Diocleziano e Massimiano Erculio erano rispettivamente figli di Giove e di Ercole, così Galerio, attraverso l'istituto dell'affiliazione, lo divenne di Diocleziano  con l'appellativo di "Giovio" e Costanzo di Massimiano, con l'appellativo di "Erculio". All'uno e all'altro fu conferito il titolo di "nobilissimus Caesar", entrambi entrarono a far parte della "gens Valeriana", tutti furono vicendevolmente vincolati dalla "pietas", l'etica della gratitudine agli dei e dell'affetto per i consanguinei. 
Era ovvio che in una tale concezione teocratica del potere non vi fosse spazio per il cristianesimo che fu infatti brutalmente represso.

Il 1 maggio del 305, Diocleziano, giunto al ventesimo anno di potere, si ritirò dalla vita pubblica, come precedentemente stabilito e altrettanto pretese da Massimiano. Con l'uscita di scena, i due Augusti assunsero il titolo puramente onorifico di "Seniores Augusti, felicissimi et beatissimi". Galerio e Costanzo furono promossi Augusti, rispettivamente d'Oriente e d'Occidente. Ma a guadagnarci fu sopra tutto Galerio. Infatti, anche se Costanzo, come Augusto senior, possedeva il supremo potere legislativo, come era stato quello di Diocleziano prima di lui, fu Galerio a scegliere, tra uomini certamente a lui fedeli, i due nuovi Cesari nelle persone di Flavio Valerio Severo (Cesare d'Occidente) e Valerio Massimino Daia, suo nipote (Cesare d'Oriente). La cosa scontentò gli occidentali: Massimiano, perché costretto a ritirarsi anzitempo, suo figlio Massenzio e il figlio di Costanzo, Costantino, perché tagliati fuori dalla linea di successione. Ma fu la morte, nel 306, di Costanzo Cloro, l'Augusto senior d'Occidente, a riaprire il capitolo delle lotte di successione da parte di quegli aspiranti tetrarchi che, pur disponendo di una forza militare che li appoggiava e li voleva Cesari o Augusti, non si vedevano riconosciuto il ruolo a cui aspiravano. Galerio, ormai Augusto senior, cercò di scendere a compromessi con i vari pretendenti ma la situazione arrivò al punto che, ad un dato momento, esistevano nell'impero quattro Augusti legittimi, Galerio, Costantino, Licinio e Massimino Daia, un Cesare illegale a Roma, Massenzio e un usurpatore in Africa, Lucio Domizio Alessandro.

I riflessi sulla monetazione.
Le complicazioni sopra descritte dell'assetto geopolitico trovarono riflesso anche nella monetazione. Alle zecche tradizionali si aggiunsero quelle create nelle zone di guerra per pagare i soldati. La più importante delle zecche, almeno nel settore occidentale, fu quella di Treviri, nella Germania renana. Altre furono a Sirmium, in prossimità del Danubio, a Nicomedia, la nuova capitale d'Oriente, a Milano, a Eburacum, ai confini con la Scozia, e poi ancora a Ravenna, Roma, Siscia e Sardica nell'area danubiana, ad Antiochia nei pressi della Siria, a Cartagine in Africa.
In tempi normali le varie zecche battevano moneta imparzialmente in nome di tutti e quattro i regnanti, sia pure in misura quantitativa diseguale per ciascuno di essi. Ma con la ripresa delle lotte di successione, ciò non accadde più, per delegittimazione dell'una o dell'altra parte. Dal punto di vista numismatico tutto ciò comporta un'importante novità, alcune monete sono piuttosto comuni se prodotte da una zecca, più rare se prodotte da un'altra. Anche l'identificazione delle monete diventa più complicata, non basta più la tipologia (cioè le immagini del dritto e del rovescio) e le leggende ad identificarle, ma occorre dedicare cura e attenzione anche agli identificativi di zecca. 

La tua moneta.
Veniamo alla tua moneta di cui allego, oltre all'immagine di figura, una descrizione sintetica, con l'intesa che ho colorato in rosso le lettere ricostruite, perché usurate, della leggenda.

D. Busto laureato corazzato a destra dell'imperatore Massimino. IMP MAXIMINVS P F AVG(1)
R. Il Genio del Popolo Romano, con copricapo turrito e lombi drappeggiati, in piedi a sinistra, sorregge una patera con la mano destra e una cornucopia con la sinistra. GENIO POP ROM(2).

Il contrassegno di zecca è da leggere, a mio avviso:  , ove i'identificativo di zecca è il PTR(3) in esergo mentre T e F, nel campo, costituiscono l'indicativo di emissione(4). Per questa tipologia monetale e per l'arco temporale a cui la moneta appartiene gli assi di conio possono indifferentemente essere a 0° o a  180°.

Per concludere siamo di fronte ad una moneta bronzea (aes) molto comune, specificamente un follis, classificabile come RIC 845a, coniato a Treviri nel nome dell'Augusto orientale Massimino Daia, tra il 310 e il 313 d.C., quindi nell'ultimo periodo della tetrarchia {Augusti: Galerio Massimiano, sino alla morte intervenuta il 5 maggio del 311, Licinio, Costantino (Augusto senior dalla fine del 312) e appunto Massimino}. Come tutti i folles del periodo, presenta un peso ormai ridotto a circa 4÷5 g a fronte di un diametro di c. 23÷24 mm.(5)

Significato della moneta.
La tipologia monetale del Genio del Popolo Romano, per l'ampia diffusione in tutto l'impero, fu utilizzata da Diocleziano per sottolineare la visione ecumenica della romanità.(5) Successivamente, con l'inizio delle lotte di successione e quindi in particolare nel periodo in cui questa tua moneta fu coniata, la tipologia monetale del Genio del Popolo Romano, costituì di fatto l'elemento discriminante tra il potere degli Augusti "legittimi" che si davano reciproco riconoscimento e gli altri non riconosciuti (vedi  Massenzio che non coniò follis con la tipologia del Genio del Popolo Romano).

Valore venale della moneta.
Molti folles della tetrarchia sono visionabili nel sito internet:
http://www.wildwinds.com/coins/ric/maximinus_II/i.html
dove, ricercando sotto la voce "RIC 845a" o semplicemente "845", é possibile vedere riprodotti un paio di esemplari molto ben conservati della moneta in esame, venduti all'asta per 25-35$. Dunque la tua moneta, per lo stato di conservazione in cui si trova, non dovrebbe valere più di 5-10 Euro.

Ancora sul valore della moneta.
Quel tondello metallico che il tuo tombarolo ha sottratto alla terra in cui riposava è semplicemente la testimonianza di un pezzo di storia passata al cui studio ho dedicato, con infinito godimento, due mesi del mio tempo, il che, in termini puramente venali equivalgono ad alcune migliaia di Euro. Che te ne pare? Dunque apprezzo e condivido l'idea da te espressa (.. un pezzo di me!).

Ti saluto cordialmente.
Giulio De Florio

P.S. Visto che possiedi altre monete romane e vorresti saperne di più perché non provi a imparare a classificarle? Io sarei disposto a darti supporto e qualche consiglio pratico.
 

Note:
(1) Per una breve nota biografica su Caius Galerius Valerius Maximinus Daia vedere una corrispondenza precedente, cliccando qui. La leggenda per esteso va interpretata così: IMPerator MAXIMINVS Pius Felix AVGustus
(2) La leggenda del rovescio va interpretata così: "GENIO POPuli ROMani", ossia "al Genio del Popolo Romano".
(3) L'identificativo di zecca identifica l'officina monetale responsabile della coniazione della moneta, in questo caso la prima officina (di qui la "P") della città di Treviri-Germania, in latino Trier. 
(4) Lo scopo finale degli identificativi di emissione era quello di poter risalire dalla singola moneta alla sorgente di emissione per la necessaria azione di controllo sull'aderenza agli standard prestabiliti di peso e contenuto metallico. Tuttavia non si conosce l'esatto criterio con cui lettere come T, F  venivano assegnate.
(5) Agli occhi della gente comune, civili e militari, il follis, la moneta di tutti i giorni della prima Tetrarchia (in contrasto con gli antoniniani coniati precedentemente con tipologia continuamente mutevole) era associata all'idea  della singolarità dell'essere romani e della solidità della valuta (un po' come é il dollaro ai giorni nostri).

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