Più recentemente, altri Autori (Pfisterer e
Winter) hanno individuato 4 o anche 5 diversi livelli di “barbarizzazione”, con una scansione più graduale nell’allontanamento dal modello originario, specie rispetto alla comprensibilità delle legende, che alla
fine si riducono (essendo gli incisori totalmente ignari del latino e per copiatura da altre imitazioni), ad una serie di asticelle, cerchi, semicerchi o segni di altro tipo.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che certe emissioni, specie fra quelle di 1° livello, possano essere state prodotte in officine clandestine da artigiani che lavoravano nelle zecche ufficiali (P.
Bastien, 1985) e che avevano libero accesso, in particolare, ai conii del rovescio. Solo i conii del diritto infatti, con l’effigie imperiale, erano tenuti rigorosamente sotto chiave.
Risulterebbe comunque che, quanto meno nel 4° secolo, solo i contraffattori di monete d’oro e d’argento fossero perseguiti e condannati fino alla pena capitale, mentre per l’imitazione dei bronzi vigeva di fatto una sostanziale tolleranza.
Nei ripostigli di questo periodo le imitazioni bronzee costituiscono, rispetto al tesoro complessivo, dallo 0% al 49% del ritrovamento: si va dal 49% di taluni ritrovamenti della
Gallia Narbonense, al 17% (come massimo) di taluni tesori inglesi, a percentuali spesso molto inferiori nei tesori tedeschi e svizzeri; mentre in
Italia e in Oriente spesso non è reperibile alcuna imitazione. Queste considerevoli differenze sembrano dovute proprio alle condizioni economiche e militari sopra accennate, che erano estremamente varie nelle diverse regioni dell’impero.
Quanto al dato temporale, oggi si ritiene che le imitazioni siano state coniate quasi contemporaneamente agli originali o poco dopo l’emissione di questi; il peso e il modulo delle monete di imitazione (da quelle augustee fino ai minimi e minimissimi) sono quasi sempre inferiori, anche di molto, ai valori medi delle monete di riferimento. Esistono infine anche imitazioni fuse (assai poche), prevalentemente nei
primi secoli.
Con “minimi” si definiscono le monete di imitazione, più o meno nettamente barbariche, dei bronzi romani AE 4 dei secoli IV e V (
Callu J.P.,
Adelson e Kustas, ecc.). Alcuni Autori designano “minimi” anche gli ultimi bronzi ufficiali di dimensioni ridottissime, peso teorico 1 scrupolo (1,137 g);
così
Picozzi, 1966, ma anche
Sutherland (op. cit.).
Generalmente, i MINIMI hanno un diametro di almeno 10 mm ed un peso non inferiore a 1,2 g.
Esistono in realtà esemplari di peso anche molto inferiore (da 0,25 a 1,15 g nel ripostiglio studiato da
Callu, con diametro fra 7 e 13 mm). I MINIMISSIMI sono quindi le monete più piccole in assoluto, inferiori cioè a 10 mm di diametro ed a 1,2 g di peso; possono scendere a 7 mm di diametro e 0,3 g di peso, o eccezionalmente anche meno (P.
Bastien, 1985, p. 145). In realtà, nella bibliografia sull’argomento è difficile trovare una delimitazione precisa in diametro e peso fra MINIMI e MINIMISSIMI (termine quest’ultimo poco usato) e le suddette misure di 10 mm e 1,2 g non sono da tutti accettate e vanno considerate assolutamente convenzionali.
L’uso pratico dei minimissimi sembra utilizzasse non tanto la singola
moneta, quanto sacchetti di monete, forse sigillati e valutati “a peso”.
[13] – minimissimo, imitante “
gloria exerc” di imperatore non identificabile
D: Busto imperiale a dx con testa diademata, aspetto abbastanza classico che richiama Costante o Costanzo II° [….]od[…]
R: Due soldati piuttosto stilizzati con un’insegna centrale
Diametro: 9 mm Peso: 0,7 g
[14] - minimissimo, imitante “
gloria exerc” di imperatore non identificabile
D: Volto imperiale con tratti molto grossolani,
naso pronunciato [….]iiiii[.…]
R: Due figure stanti ai lati di un’insegna, stilizzate
Diametro: 9 mm Peso: 0,7 g